La 53ma edizione del festival recupera il tempo perduto dando spazio alle fotografe
Arles. Dal 4 luglio al 25 settembre Arles torna a essere la capitale della fotografia. Dopo l’edizione del 2021, ancora alle prese con i protocolli sani-tari e in formato ridotto, quest’anno il festival «Les Rencontres d’Arles», numero 53, ritrova il suo formato clas-sico, come prima della pandemia, con una quarantina di mostre, monografi-che e collettive, che coinvolgono diver-si luoghi della città. Se l’anno scorso la rassegna aveva rivisitato i codici della virilità con la mostra «Masculinités» ora il festival punta sulle donne. Lo ha spiegato Christian Wiesner, diretto-re della rassegna: «La creazione fotogra-fica, sismografo della nostra esistenza nella sua diversità, non è sempre stata il riflesso dell’incredibile diversità degli artisti. Un lungo processo di riconoscimento delle don-ne fotografo è iniziato una quarantina d’an-ni fa. E quest’anno, anche Les Rencontres aprono molti luoghi alla creatività di figure storiche e alla scoperta di artiste dimentica-te o sconosciute, fino all’emergenza di nuovi talenti». Certo quarant’anni sono tanti e solo fino a poco tempo fa ancora si rimproverava anche ad Arles di non dare abbastanza spazio alle fotografe. Si recupera il tempo perso con «Un’a-vanguardia femminista degli anni ’70», una mostra che allestisce, per la prima volta in Francia, 200 scatti della collezione austriaca Verbund, incen-trata sugli anni ’70. Sono selezionati i lavori di 72 artiste, da Judy Chicago a Gina Pane, da Suzanne Santoro a Cindy Sherman, da Esther Ferrer a Francesca Woodman, portavoce di un’immagine nuova della donna, denunciando il sessismo, le disugua-glianze sociali e il potere patriarcale. La rassegna presenta anche i lavori di Babette Mangolte, premio Women in Motion 2022, che da anni documen-ta la scena coreografica di New York, e di Susan Meiselas & Marta Genti-lucci che in «Cartographie du corps», tracciano una mappa della pelle e dei gesti delle donne.
L’Espace Van Gogh propone una ri-lettura del lavoro di Lee Miller, di vol-ta in volta fotografa di moda o repor-ter di guerra tra il 1932 e il 1945. Viene inoltre proposta la prima monografica dedicata a Bettina Grossman, scom-parsa lo scorso novembre. Tra le altre numerose mostre, al Palais de l’Ar-chevêché è allestita «Un mondo da guarire», frutto di due anni di lavori negli archivi del Museo internazio-nale della Croce Rossa, una collezio-ne di più di seicento immagini dal 1850 a oggi, scattate da grandi foto-grafi dell’Agenzia Magnum, ma anche dagli stessi operatori umanitari. La mostra «Ritual Inhabitual» allerta invece sullo sfruttamento delle fore-ste in Cile per alimentare l’industria della carta, mentre in «I guardiani dell’acqua» Bruno Serralongue testimonia la battaglia degli indiani Sioux della riserva Standing Rock, nel Nord Dakota. Tra gli altri artisti pre-sentati, Frida Orupado denuncia la brutalità della rappresentazione pitto-rica dei corpi neri nella storia, mentre Pierfrancesco Celada, premio Photo Folio Review 2021, documenta da sette anni la società di Hong Kong, passan-do per la rivoluzione degli ombrelli del 2014 e le manifestazioni del 2019. I dieci progetti candidati al Prix Roe-derer 2022 sono presentati nell’Egli-se des Frères-Prêcheurs.
CAT | Versió extreta de l’edició original italiana del Giornale
dell’Arte