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L’INFERNO DI JEAN CLAIR

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Una grandiosa rappresentazione dell’eterna ossessione
degli uomini (e degli artisti) per le immagini del Male

Come si vede sin dall’inizio spettacolare della mostra alle Scuderie del Quirinale di Roma (15 ottobre-9 gennaio), concepita da Jean Clair e curata insieme a Laura Bossi, per accedere alla quale dobbiamo passare per l’imponente «Porta dell’Inferno» di Rodin, quella dell’Inferno è anzitutto un’Eterotopia. Un luogo «altro» (così lo definiva Foucault nel ’67 in uno dei suoi saggi più seminali) è l’altro mondo: in quanto retto da regole radicalmente diverse da quelle in vigore nell’Aldiquà. Tanto per cominciare, come nel Paradiso che è il suo rovescio speculare, non vi ha cittadinanza il tempo. Solo nel regno di mezzo, il Purgatorio che (ha spiegato Le Goff in un altro celebre saggio) fu un’invenzione tarda, e di poco precedente all’opera di Dante, scorre la dimensione per eccellenza umana che è l’ascissa della nostra esistenza, la sede delle nostre speranze e dei nostri rimpianti. Ciò malgrado, o forse proprio per questo, all’Inferno l’uomo ha creduto ha lungo. È stato l’oggetto del suo terrore, lo stigma delle sue resipiscenze, il monito della sua esistenza. Tanto vi ha creduto che con ostinazione ha tentato di raffigurarlo, come la mostra riepiloga mirabilmente, a partire da uno schema a cono rovesciato codificato fra i primi da Botticelli; e addirittura un uomo di scienza come Galileo si è sforzato di misurarlo. C’è poi una soluzione di continuità, grosso modo all’altezza dell’Illuminismo, dopo la quale quella dell’Inferno è divenuta invece una grande metafora: di fatti storici e non più trascendenti, morali e spirituali. L’inferno della guerra, quello dell’industrializzazione e dell’espansione metropolitana, quello delle carestie e delle pestilenze, sino agli inferi squisitamente moderni della sopraffazione politica, delle persecuzioni razziali e del totalitarismo. Nella modernità vige un chiasmo impressionante, una reversibilità eloquente. Il totalitarismo è quella fantasia d’onnipotenza del politico che individua un Paradiso (la purezza razziale, l’uguaglianza sociale, l’ortodossia religiosa) e tenta di imporlo a tutti: ed è proprio così che produce, invece, l’Inferno. D’altro canto è vera appunto la reciproca, codificata dalle parole di Mefistofele nel Prologo in cielo del Faust di Goethe: «quella forza che / vuole sempre il male e produce sempre il bene». «Zauberkraft», chiamerà Hegel questo «potere magico» al quale serve l’immagine del Male per produrre, con quella che si chiamerà «dialettica», quanto al Male si contrappone. Gli antichi la chiamavano invece «catarsi», ma prescrivevano che dovesse prodursi «fuori dalla scena», in una dimensione appunto «oscena». I moderni invece desiderano «vedere», sono dominati da quella che Foucault chiamava «volontà di sapere»: e sono dunque ossessionati dalle immagini del Male. Nei suoi saggi degli anni Ottanta e Novanta proprio Clair, fra De immundo e Hybris, stigmatizzava questa ossessione «dialettica»; ma con questa mostra, in effetti, vi partecipa appieno. Fra le mille immagini memorabili in mostra, ne trattengo una davvero eloquente (commentata da Clair nel magnifico catalogo). Si tratta del Libro d’ore di Caterina di Clèves (1435 ca) conservato alla Morgan Library di New York. La figurazione classica della Bocca dell’Inferno (la stessa di lì a poco sarà scolpita nel Bosco magico di Bomarzo) si apre voraginosa sotto la superficie della Città dell’Uomo. Ma alla sua sommità, in schiacciante dialettica appunto, ne appare un’altra e speculare, a sua volta spalancata sotto di sé. Con un anacronismo psicoanalitico, l’Inferno non è solo il disordine dell’Es ma anche l’eccesso di ordine del Super-Io. In ogni caso va corretto lo slogan tormentoso di Sartre: l’Inferno non sono «gli altri», l’Inferno è l’Altro. Quello dal quale ci separa, spezzandoci in due, Colui Che Divide: etimologicamente, appunto, il Diavolo. Nella foto, «Dante e Virgilio» (1850, part.) di William Adolphe Bouguereau, al Musée d’Orsay di Parigi.

ITA | Versione tratta dall’edizione originale italiana del Giornale
dell’Arte

Andrea Cortellessa
Il Giornale dell'Arte
Il Giornale dell'Arte è un periodico mensile dedicato al mondo dell'arte pubblicato dalla società editrice torinese Umberto Allemandi S.r.l..
Il primo numero è stato pubblicato nel maggio del 1983, sotto la direzione del fondatore Umberto Allemandi, con l'intento di proporre un prodotto editoriale innovativo nel campo dell'arte.

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