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C’è furto e furto

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Aspetti fenomenologici e giuridici

Sono stato invitato a partecipare a un convegno online avente a oggetto «l’esportazione e il furto di opere d’arte». In vista di tale partecipazione, ho predisposto una traccia del mio intervento, articolata in due parti: la fenomenologia del furto di beni culturali e gli aspetti giuridici che pone il fenomeno. Per farne partecipi i miei lettori e tenuto conto dello spazio che mi è riservato in ogni numero di questo giornale, ho deciso di pubblicare il mio scritto in due numeri: un primo, dedicato alla fenomenologia, un secondo dedicato ai problemi giuridici.

Al termine di un lungo dibattito concettuale protrattosi per alcuni decenni, «le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico» nonché «le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà» sono state individuate come i «beni culturali» e, nel loro insieme, come il nostro «patrimonio culturale», oggetto in quanto tale di tutela e di valorizzazione (artt. 2, 3, 5 Decreto legislativo 42/04, attuazione del principio costituzionale fondamentale, consacrato nell’art. 9 della nostra Carta).
Tre rilievi preliminari: il primo è che i beni culturali hanno una summa divisio in mobili e immobili; il secondo è che la tutela investe non l’intero patrimonio culturale ma, in linea di massima, le cose che abbiano oltre settant’anni, siano opera di autore scomparso e siano state oggetto di una dichiarazione di interesse storico artistico particolarmente importante (artt. 10, 13, cit. Decreto legislativo): il terzo, che in materia di definizione di beni culturali, con le conseguenti restrizioni ai principi di libertà della proprietà privata (definita tradizionalmente come «ius utendi et abutendi»), vige una riserva di legge, sia pure relativa (artt. 23 e 42 della Costituzione).
Ai rilievi preliminari che precedono, si aggiunge una considerazione ulteriore: i testi normativi precedenti al Testo Unico 29 ottobre 1999, n. 490 (immediato antecedente del Decreto legislativo 42/04 e che per primo faceva riferimento, per i beni culturali, al concetto di «testimonianza di civiltà»), rimandavano a cose analiticamente indicate, piuttosto che a una loro definizione unitaria (beni culturali). Il passaggio a questa categoria è il frutto dell’accoglimento, nel nostro ordinamento giuridico di settore, della cosiddetta dottrina della cultura materiale, fiorita in Francia negli anni Trenta attraverso la Rivista «Les Annales» e al pensiero di Marc Block e Lucien Febvre. In base a tale dottrina, il bene culturale non ha più una considerazione soltanto aristocratica in quanto categoria dello spirito ma vale come espressione della civiltà umana nel suo divenire storico. Quindi, sono oggetto di ricerca e di studio non soltanto le grandi opere dell’umanità ma anche tutti gli strumenti che caratterizzano il divenire umano, senza che sia possibile fare una qualsiasi graduazione in relazione al loro interesse. Fioriscono pertanto, accanto ai musei tradizionali, anche quelli della civiltà contadina che assemblano aratri, arcolai e altro.
I beni culturali mobili, proprio in quanto asportabili, possono essere oggetto di furto (artt. 624, 625 Codice penale). Peraltro, anche quei beni che sono divenuti immobili per mano dell’uomo (dipinti racchiusi entro cornici murarie, affreschi, decorazioni statuarie ecc.), possono essere oggetto prima di smobilizzo e quindi di furto: il ladro stacca il dipinto dalla cornice muraria oppure strappa l’affresco dalla parete o anche ne distacca una scultura e poi se ne appropria. Sul piano della fenomenologia, vi è un ulteriore abuso del bene culturale che non esiteremmo a definire vandalico: dopo il furto e per massimizzarne il profitto nonché per occultare la sua origine illecita, il bene culturale viene frammentato, ad esempio in tanti piccoli dipinti che, racchiusi entro cornici, formano oggetto di scambio sul mercato parallelo. È il caso della celebre Pala di Sezze del sommo pittore naturalista romano del XVII secolo Orazio Borgianni, che, dopo essere stata asportata dalla sua sede, venne frammentata in tanti piccoli dipinti, solo in parte ritrovati e ricomposti.
Il fenomeno del furto si completa con il riferimento al delitto di ricettazione, configurabile nei successivi scambi in malafede della «refurtiva» (art. 648 Codice penale). Tali scambi possono mancare quando, come suol dirsi, «il furto è avvenuto su commissione»: un qualcuno, desideroso di entrare in possesso di un bene culturale di larga notorietà ma non attrezzato personalmente per rubarlo, commissiona l’opera a ladri professionisti. La spinta al delitto può essere di vario genere: uno smodato interesse collezionistico come la cupidigia di rivendere il compendio del furto, facendone un largo profitto. In questi casi, grazie anche alla intelligence della quale dispone il benemerito Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, il furto è, per così dire, «più vulnerabile»: il ladro su commissione, soprattutto se gli sia stata promessa l’impunità (divenendo una cosiddetta «fonte confidenziale»), può dare un’indicazione che permetta il recupero della refurtiva, assumendo in tal modo la figura del «sicofante» di aristofanesca memoria.
Vi è poi ancora da considerare un altro caso, quello dovuto all’ignoranza: il ladro, non comprendendo il valore dell’opera d’arte rubata, ne fa oggetto di furto, sperando in una successiva, agile rivendita (è il caso del furto, a Urbino, di tre capolavori del Rinascimento italiano). Il ladro ignora che la notorietà estrema di quanto rubato ne renderà ardua, se non impossibile, la successiva alienazione: chi si va ad acquistare, ad esempio, la «Monna Lisa» di Leonardo, che pure fu oggetto di furto, nel 1911? Tuttavia il ladro, nella sua ignoranza, pensa che sia agevole trovare qualcuno interessato all’acquisto di un capolavoro museale!
Questa, nelle sue linee essenziali, la fenomenologia del furto di beni culturali con una elencazione che non pretende di esaurire il tema ma solo di enunciare fatti che si ripetono.

ITA | Versione tratta dall’edizione originale italiana del Giornale
dell’Arte

Il Giornale dell'Arte
Il Giornale dell'Arte è un periodico mensile dedicato al mondo dell'arte pubblicato dalla società editrice torinese Umberto Allemandi S.r.l..
Il primo numero è stato pubblicato nel maggio del 1983, sotto la direzione del fondatore Umberto Allemandi, con l'intento di proporre un prodotto editoriale innovativo nel campo dell'arte.
Fabrizio Lemme

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