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Lalibela in Etiopia, unica al mondo

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All’inizio di agosto, le Forze Popolari di Liberazione del Tigray, il gruppo armato che si oppone al Governo etiopico nel conflitto in corso nella regione a nord del Paese, hanno occupato la città di Lalibela (cfr. lo scorso numero, p. 12), uno delle più straordinarie testimonianze delle civiltà africane medievali, dal 1979 sito del Patrimonio Mondiale dell’Unesco.

Il rischio che questo importantissimo patrimonio storico venga coinvolto e danneggiato nel conflitto armato è molto elevato, e reazioni e richieste di protezione sono venute da tutto il mondo, dirette sia al Governo che ai ribelli. Ma la situazione resta ad oggi incerta. Lalibela è un sito unico al mondo per la sua storia e per le eccezionali strutture architettoniche, interamente scavate nella roccia di una collina formata da scorie basaltiche di origine vulcanica, situata a oltre 2.000 metri sul livello del mare.

Biete Abba Libanos (Casa dell’Abate Libanos)
Biete Medhane Alem (Casa del Salvatore del Mondo)

L’insediamento di Lalibela si sviluppò, a partire dal V secolo, nell’ambito del Regno di Axum, città che si trova a circa 400 chilometri a nord e che conobbe il suo apogeo tra I e VII secolo. Il Regno axumita, strettamente collegato alle civiltà coeve dello Yemen (Sabaei e Imiariti) e della Nubia, fu uno dei più importanti dell’Africa antica, e tra i primi ad adottare la religione cristiana nel V secolo. Attorno al VII secolo, il declino del Regno di Axum, dovuto all’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali e anche alle incursioni arabe dal Mar Rosso, portò all’abbandono della città. Il potere passò alla dinastia degli Zagwe il cui primo sovrano, Yemrehanna Kristos, spostò il centro di gravità del regno verso gli altopiani etiopici a sud di Axum, creando una nuova capitale a circa 200 chilometri, di cui resta come testimonianza l’importante chiesa rupestre con lo stesso nome. Questo insediamento tuttavia non ebbe successo, e quando il fratello del re, Gebre Meskel (1162-1221), che aveva assunto il nome di Lalibela (che significa «le api riconoscono il suo dominio», perché la leggenda narra che uno sciame di api circondò la sua culla alla nascita), ereditò il trono, spostò la capitale ancora più a sud, nella città che aveva il nome di Roha, ma che da allora prese il suo nome. Il re Lalibela, oggi venerato come un santo dalla Chiesa Ortodossa Etiopica, secondo la leggenda aveva avuto in sogno la visione di Gerusalemme, da poco conquistata dal Saladino (1187), e decise di trasformare la città in una Nuova Gerusalemme, attribuendo nomi biblici alle sue diverse parti. Lalibela divenne la capitale dell’Impero etiopico medievale fino al XIII secolo, e la più importante meta di pellegrinaggio dei fedeli della Chiesa Ortodossa Etiopica Tewahedo, che fino al 1959 è stata parte della Chiesa Ortodossa Coptica di Alessandria d’Egitto. Il re Lalibela trasformò completamente l’insediamento rupestre preesistente, creando ben undici chiese.

La Croce di Lalibela

Anche se una leggenda, fortemente difesa dal clero locale, vuole che Lalibela realizzò le chiese in pochissimo tempo, con l’aiuto degli angeli, gli archeologi hanno valutato in circa 20-25 anni il tempo che fu necessario alla trasformazione della città. Tutte le chiese di Lalibela sono monolitiche, scavate nella roccia e poi scolpite e decorate all’esterno e all’interno in uno stile liberamente ispirato a elementi architettonici dell’antichità classica e del Regno axumita. Le undici chiese si trovano in tre zone distinte. Nella Zona Est, la più antica, si trovano quelle che derivano da adattamenti di edifici preesistenti: Biete Amanuel (Casa di Emanuele) che era forse una antica cappella reale (Foto 2); Biete Qeddus Mercoreos (Casa di San Mercurio/Casa dell’Evangelista Marco), che forse era una antica prigione; Biete Gabriel-Rufael (Casa degli Angeli Gabriele e Raffaele), una antica residenza reale. In questa zona si trovano anche due chiese di nuova costruzione, Biete Abba Libanos (Casa dell’Abate Libanos, che fu probabilmente l’artefice del progetto della città; Foto 3) e Biete Lehem (Betlemme, la Casa del Pane in ebraico). A Nord, si trovano le chiese di Biete Medhane Alem (Casa del Salvatore del Mondo; Foto 5), dove si trova la celebre Croce di Lalibela (Foto 4), di Biete Maryam (Casa di Maria; Foto 6), la più antica, con una replica della tomba di Adamo e di Cristo; Biete Golgotha Mikael (Casa di Golgotha Michele), che contiene la tomba del re Lalibela; Biete Meskel (Casa della Croce); e Biete Denagel (Casa delle Vergini). A Ovest della città si trova la Chiesa di San Giorgio (Foto 7), la più raffinata e la meglio conservata di tutte. L’intero insediamento rupestre è caratterizzato da un sofisticato ed efficiente sistema di canalizzazione e raccolta delle acque, progettato da Abba Libanos e basato su antiche tecniche, non ancora adesso completamente studiate, simili a quelle utilizzate nella città rupestre di Petra. Ogni chiesa dispone di pozzi o cisterne la cui profondità è attentamente calibrata per garantire la giusta disponibilità di acqua nella stagione secca, senza però creare problemi di inondazione nella stagione delle piogge. Il Fiume Giordano è un canale artificiale di raccolta delle acque collegato a un sistema di distribuzione idrica per tutta la città e le zone agricole vicine.

Biete Maryam (Casa di Maria)

La conservazione delle chiese rupestri di Lalibela ha costituito, in epoca moderna, una grande sfida per la disciplina del restauro architettonico. Nel corso del XX secolo, anche a causa delle invasioni e delle guerre, si erano infatti perdute le capacità tradizionali di manutenzione degli edifici, che ne avevano consentito la sopravvivenza per secoli. In particolare, il mancato rinnovamento periodico dello strato di argilla che garantiva l’impermeabilizzazione dei tetti aveva facilitato l’infiltrazione delle acque e condotto a crolli e dissesti. Già all’epoca dell’Imperatore Haile Selassie, che era particolarmente devoto al sito di Lalibela, architetti italiani come Sandro Angelini erano intervenuti con importanti opere di consolidamento e ricostruzione di parti delle chiese. Ma con la fine dell’impero nel 1975 e i conflitti che seguirono, la situazione delle chiese si degradò ulteriormente.

Biete Giyorgis

Nel 2007 l’Unione Europea finanziò la realizzazione di immense strutture di copertura delle chiese più degradate, intervento che venne fin dall’inizio criticato dall’Unesco e sottoposto a un monitoraggio continuo per verificarne l’impatto. A distanza di quindici anni da quella realizzazione, si sta oggi pensando di rimuovere queste strutture improprie, che causano ulteriori danni alle chiese (forti correnti di vento, microclimi secchi, vibrazioni e rumori) e hanno danneggiato con le loro fondazioni parte delle rocce originarie, e riorganizzare il sistema di manutenzione tradizionale, come voluto dalla comunità locale e dalla Chiesa Ortodossa.

ITA | Versione tratta dall’edizione originale italiana del Giornale
dell’Arte

Il Giornale dell'Arte
Il Giornale dell'Arte è un periodico mensile dedicato al mondo dell'arte pubblicato dalla società editrice torinese Umberto Allemandi S.r.l..
Il primo numero è stato pubblicato nel maggio del 1983, sotto la direzione del fondatore Umberto Allemandi, con l'intento di proporre un prodotto editoriale innovativo nel campo dell'arte.
Francesco Bandarin
 

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